Roberto Bramani Araldi

ODISSEA - Recensione libro D'Amico - 14 marzo 2021

ODISSEA domenica 14 marzo 2021 A TRE VOCI Una parità ambigua Orientamento unidirezionale di Roberto Bramani Araldi È di questi giorni il lancio del libro All in di Billie Jean King, ritenuta la più grande tennista del secolo scorso, vincitrice dei maggiori tornei mondiali, fondatrice della WTA - Women’s Tennis Association - tuttora l’associazione mondiale che regola il tennis femminile, ma, soprattutto e incredibilmente, nota per la “battaglia dei sessi”. Nel 1973, il 20 settembre, andò in scena nel Texas la sfida contro Bobby Riggs, cinquantacinquenne, tennista dal grande passato, il quale affermava che una donna non avrebbe mai potuto sconfiggere un uomo a tennis nel campo professionistico. L’evento, in pratica circense, venne propagandato con un battage pubblicitario eccezionale, come la “battaglia dei sessi”. Vinse la King che dichiarò: “Ho pensato che saremmo tornati indietro di 50 anni se non avessi vinto quella partita. Avrebbe fatto perdere l’autostima a tutte le donne”. E la King si batté e si batte ancora oggi per l’affermazione dei diritti delle donne nella Società. Il parallelismo sgorga quasi spontaneo approcciando la lettura del libro Una parità ambigua di Marilisa D’Amico, naturalmente non nei contenuti, bensì per l’antitesi con il sesso maschile che costituisce il filo conduttore dell’analisi che l’autrice compie nei vari settori che lo costituiscono. Stabilito fuori da ogni dubbio che la parità di genere non debba essere posta in discussione, ma deve rappresentare, qualora non conseguita, un punto d’arrivo incontestabile, è altrettanto certo che l’impegno per giungere al traguardo non deve sconfinare nell’instaurare un conflitto fra i sessi, quanto mai inopportuno e fautore di quelle divisioni e discriminazioni che si vorrebbero se non abolire integralmente, almeno limitare, per raggiungere una posizione di sostanziale equilibrio. Gli argomenti nei quali è suddivisa l’opera sono naturalmente esaminati a partire da questo asserto e sulle sue fondamenta è costruito l’edificio di approfondimento conseguente, che è indirizzato in una direzione univoca. Prendiamo il capitolo relativo alle “Donne e politica”, nel quale si constata che per retaggio culturale delle società a impronta quasi esclusivamente maschile, l’accesso alla politica della componente femminile era praticamente inesistente e da qui il processo evolutivo verso una sempre più marcata consapevolezza della necessità che le legislazioni dei Paesi si trasformassero in modo tale d’assicurare una congrua presenza femminile negli organismi istituzionali di qualsiasi livello. L’esame dei modelli, come sono catalogati dall’autrice, profonda e documentata nei tempi dell’emissione delle norme e nei contenuti, è affrontato con uno spirito critico di notevole finezza, seppure soffra della visione esclusiva che conduce inevitabilmente al concetto delle “quote rosa”. È chiaro che la battaglia per il superamento di comportamenti riconducibili ad atteggiamenti discriminanti dovesse essere condotta al superamento delle barriere sia manifeste, sia sotterranee, inerenti il concetto di donna solo dedita alla famiglia, quindi preclusa al mondo della politica ritenuto di pertinenza della sola componente maschile, tuttavia il ritenere che l’unico sistema - si badi bene non solo a livello Italia, bensì quasi generalizzato - sia quello di assicurare una presenza di genere prescindendo dalla capacità, diventa un percorso a senso inverso verso la ghettizzazione. Quando D’Amico afferma che “a Costituzione invariata è impossibile per il legislatore ordinario introdurre norme di qualsiasi tipo miranti a favorire l’accesso delle donne alla competizioni elettorali” si immette un pensiero discriminante, poiché il termine favorire ha in sé il senso di ledere una visione paritaria dove nessuno deve essere favorito, ma tutti devono partire con pari opportunità. Sarebbe come se in una gara atletica di mezzofondo si facessero partire i contendenti scaglionati, in funzione di una qualsivoglia valutazione: all’arrivo il risultato finale sarebbe inficiato, mentre invece la genuinità della competizione impone che vincano i più bravi. Del resto la selezione di una classe dirigente dovrebbe avvenire in funzione della capacità del singolo, sicuramente non appurabile a priori, né conferita a un genere: l’unico elemento che differenzia il genere umano è l’intelligenza, non può essere il colore della pelle, il taglio degli occhi oppure la sua conformazione fisica. Solo il suo livello intellettuale, la sua capacità di affrontare i problemi e di risolverli dovrebbe rendere un individuo eleggibile a una carica pubblica e non l’appartenenza a un genere, femminile o maschile che sia. Una donna dovrebbe sentirsi umiliata dal fatto di accedere a un ruolo solo perché le è stato riservato in quanto donna e non perché è brava, capace, intelligente. Considerazioni analoghe possono essere tratte sul capitolo “La donna e lavoro”. Il tema è trattato con dovizia di dettagli legislativi, con notevole precisione e serietà: il corso degli eventi legislativi è ben tracciato, tanto da consentire al lettore di seguire senza alcuna difficoltà l’evolversi delle normative. A questo indubbio merito si unisce anche la visione critica nei riguardi del legislatore per la lentezza nel varare norme atte a favorire l’elemento femminile, che continua a essere pesantemente svantaggiato, soprattutto nelle funzioni direttive. Si citano i Consigli d’Amministrazione e i Collegi Sindacali delle Aziende, nei quali è diventata obbligatoria la presenza femminile - o più precisamente del genere meno rappresentato - alla quale è riservato un terzo dei posti come rimedio a una preclusione culturale che impediva di fatto l’accesso ai ruoli apicali, ma la patologia non è stata ancora debellata e il rinnovamento culturale non si produrrà o si produrrà molto tardi. Tutto l’argomento è pervaso da una visione pessimistica e comunque da lotta dei sessi, “il delicato equilibrio che il legislatore italiano ha compreso e sta provando a realizzare” avviene faticosamente, oppure “che della mera enunciazione dell’eguaglianza formale non corrisponde a parità effettiva il legislatore si è finalmente reso conto”. Infine, da quando le donne hanno fatto ingresso nei consigli di amministrazione delle società si è alzato il livello qualitativo dei profili e si è più attenti a merito e competenze: pareri rispettabili, ma che avrebbero necessità di verifiche approfondite, mentre così possono avere valenza solo come opinione. In sintesi un lavoro perfettamente svolto dal punto di vista documentale nel settore giuridico, apprezzabile, seppur discutibile in alcuni passaggi, per le giuste istanze delle pari opportunità dei sessi. Perché discutibile? Ma è evidente: occorre battersi per superare le diseguaglianze, non per creare favoritismi in sostituzione delle medesime: in questo modo si sviluppano mondi antitetici che, invece, dovrebbero integrarsi, non perfettamente, sarebbe utopico, bensì nel modo migliore compatibile con la fattibilità umana. Alessandro D’Avenia nel suo L’appello afferma: “La donna spesso è usata come oggetto del desiderio per l’occhio che la vuole possedere e così facendo le toglie vita. Finché l’occhio non guarisce da questa volontà di dominio non riusciremo più a vedere le cose e a sentirne il respiro. Riavremo il mondo solo quando smetteremo di volerlo dominare.” Forse questa visione si attaglia come un abito confezionato su misura alla Parità ambigua di Marilisa D’Amico? Recensione del libro di Marilisa D'Amico "Una parità ambigua" con voci di Annalina Molteni e del prof. Gabriele Scaramuzza sul blog culturale Odissea.

Roberto Bramani Araldi

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